Genocidi: ieri e oggi a confronto

“Non ho mai perdonato, come non ho mai dimenticato”, queste sono le sprezzanti parole della senatrice Liliana Segre, una degli ultimi testimoni tra i sopravvissuti ai campi di sterminio. Ella stessa afferma che una volta, ad Aushwitz, vide una pistola a terra e per un momento pensò di raccoglierla ed usarla, ma si sentì superiore ai suoi assassini e non lo fece. Nel gennaio del 1945 prese parte alla “marcia della morte”, quando i tedeschi decisero di evacuare il campo ed ottenne la liberazione soltanto agli inizi di maggio.

La sterminazione sistematica degli ebrei non avvenne in maniera diretta, ma fu un processo graduale, cominciato con l’iniziale esclusione dalla vita comune e culminato con il genocidio di massa, che accelerò nei tempi precedenti all’arrivo dell’Armata Rossa.

Tra i pochi superstiti dominano ancora oggi il terrore e l’angoscia determinate da immagini indelebili impresse nelle loro anime, che talvolta hanno portato al suicidio, come nel caso dell’autore italiano Primo Levi, portatore di una testimonianza diretta della vita nei campi di concentramento tramite le sue opere. L’orrore fu commesso dalla follia e dall’ossessione di una razza considerata perfetta e dalla quale non erano esclusi sono gli ebrei, ma anche omosessuali, nemici politici, testimoni di Geova, asociali e malati.

“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. (…) Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”


La ricorrenza odierna della Shoah per noi occidentali rappresenta un evento estremamente significativo, un monito universale che segnala l’importanza della consapevolezza collettiva.

Gli orrori come quelli della Shoah vanno contrastati, soprattutto da noi giovani cittadini di un Paese in cui l’uguaglianza (art. 3 della Costituzione) la libertà individuale (art. 13 della Costituzione) sono sancite costituzionalmente. Il contrasto però richiede la conoscenza e un pensiero critico per interpretare l’attualità. Si prende ad esempio, la potenza economica cinese.

La stampa internazionale mette sempre in risalto il crescente potere economico di essa, stabilito recentemente anche dall’accordo politico che crea una area di libero scambio nel Pacifico. Tuttavia, la politica interna, incluse le disuguaglianze e le libertà individuali, sono messe sempre meno in evidenza rispetto a quella estera. Si prende ad esempio il genocidio della minoranza degli Uiguri.

Gli Uiguri sono un’etnia turca per lo più musulmana che si considera culturalmente ed etnicamente vicina alle nazioni dell’Asia centrale. Hanno anche una loro lingua, chiamata uigura e vivono per lo più nello stato autonomo di Xinjiang (si stima circa 12 milioni di persone).

Secondo gli attivisti, negli anni, le politiche del governo di Pechino hanno man mano ridotto le attività religiose, commerciali e culturali degli Uiguri. A favore di questa tesi, uno studente islamico della regione dello Xinjiang ha dichiarato nel 2014 alla BBC che non gli era permesso di professare il digiuno nel mese del Ramadan –considerato sacro dall’Islam. Per di più, gli Uiguri non possono da tempo più andare a professare la propria fede nelle moschee. Infatti, nel 2017 il presidente Xi Jinping ha dichiarato che “le religioni in Cina devono essere orientate alla Cina” e “adattate alla società socialista”.

Questa dichiarazione non è mirata solo contro l’Islam ma anche contro il Cristianesimo. In seguito a ciò, in tutta la Cina, le moschee sono state rase al suolo perché considerate l’espressione di un’architettura troppo mediorientale.

Nel 2018, una commissione dei diritti umani dell’ONU ha scoperto che oltre un milione di Uiguri sono stati deportati nei cosiddetti campi di “re-educazione”, cioè di lavori forzati. Infatti, dietro i discorsi di armonia dei 56 gruppi etnici che costituiscono la nazione cinese si cela un rullo compressore che vuole cancellare le identità minoritarie, soprattutto nella dimensione religiosa. Inoltre moltissime donne sono state sterilizzate con la forza e ciò entra a far parte del crimine di genocidio.

Molti enti per i diritti umani, come per esempio Amnesty Iternational e Human Rights Watch, si sono espresse a riguardo. Questi, hanno accusato Pechino di “incarcerazione di massa e tortura. La maggior parte dei detenuti nei campi di rieducazione non è mai stata accusata di un crimine e non ha ricevuto alcuna rappresentanza legale”.

In risposta alle accuse, l’ambasciatore cinese del Regno Unito Liu Xiaoming ha dichiarato che i rapporti sui campi di concentramento erano “falsi”, affermando che “godono di una pacifica e armoniosa convivenza con altri gruppi etnici di persone”.

Questo, purtroppo, è solo un caso dei tanti che sono sconosciuti alla collettività. Come quindi rendere utile la ricorrenza della Shoah? A mio avviso, il ricordo è utile solo se è “proattivo”, cioè con uno sguardo critico al contesto attuale, per contrastare altri orrori simili.

Agata Di Prima III D, Antonio Guastella III C